La radici del Romanticismo by Isaiah Berlin

autore:Isaiah Berlin [Berlin, Isaiah]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2023-10-26T22:00:00+00:00

V

IL ROMANTICISMO SENZA FRENI

[127] Vengo ora all’eruzione finale del Romanticismo senza freni. Secondo Friedrich Schlegel, che scrisse con grande autorevolezza su questo movimento, di cui era egli stesso parte, i tre fattori che influenzarono più profondamente l’intera vicenda, sul terreno non solo estetico ma anche morale e politico, furono, nell’ordine, la teoria della conoscenza di Fichte, la Rivoluzione francese e il Wilhelm Meister, il famoso romanzo di Goethe. L’osservazione è probabilmente giusta, e vorrei chiarire perché, e in qual senso, le cose andarono in questo modo.

Nelle mie osservazioni su Fichte ho parlato della sua glorificazione dell’io attivo, dinamico e immaginativo. L’innovazione introdotta da Fichte da un lato nella filosofia teoretica e dall’altro nella teoria dell’arte (e, in una certa misura, della vita) fu grosso modo la seguente. Egli accettava l’idea degli empiristi settecenteschi che nel parlare di sé ci fosse qualcosa di problematico. Hume aveva detto che quando guardava in se stesso, come gli uomini fanno normalmente, quando esaminava se stesso, scopriva un gran numero di sensazioni, emozioni, frammenti di ricordi, speranze e timori (piccole unità psicologiche di ogni specie), ma non riusciva a percepire una qualsivoglia entità che potesse fondatamente essere detta un io; e aveva [128] pertanto concluso che l’io non era una cosa, non era un oggetto direttamente percepibile, ma forse soltanto un nome per la concatenazione delle esperienze a partire dalle quali prendevano forma la personalità e la storia degli uomini, soltanto una specie di corda che teneva insieme le cipolle, salvo che non c’era nessuna corda.

Questa proposizione fu accettata da Kant, che compì quindi strenui sforzi per riconquistare un qualche tipo di io, ma molto più appassionatamente dai romantici tedeschi, e in particolare da Fichte, il quale elaborò la dottrina che se l’io non emergeva nella conoscenza, la cosa era del tutto naturale. Quando sei interamente assorbito in un oggetto, sia che tu stia guardando un oggetto materiale nella natura, o ascoltando dei suoni (una musica, o qualcos’altro), o che tu sia impegnato in una qualsivoglia altra specie di processo in cui c’è davanti a te un oggetto nella cui contemplazione sei completamente assorbito, è naturale che tu sia pro tanto inconsapevole di te stesso in quanto colui che assorbe. Tu prendi coscienza dell’io soltanto quando c’è un qualche tipo di resistenza. Diventi allora consapevole di te stesso non come un oggetto, ma come ciò su cui preme una realtà recalcitrante. Quando stai osservando qualcosa, e qualcos’altro interferisce, quando stai ascoltando qualcosa e si presenta un ostacolo, è l’effetto dell’ostacolo su di te che ti rende consapevole del tuo io in quanto entità diversa dal non-io che stai cercando di capire, o di sentire, o magari di dominare, vincere, modificare, plasmare – sul quale, o al quale, stai comunque cercando di fare qualcosa. La dottrina fichtiana, poi divenuta la dottrina ufficiale non soltanto del movimento romantico, ma di buona parte della psicologia, afferma dunque che l’«io», nell’accezione appena precisata, non è la stessa cosa del «me». Il «me» è qualcosa su cui può indubbiamente esercitarsi

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